Come nasce una mostra – Tino Sehgal

Quando

23 apr 20

giovedì 23 aprile '20

Prezzo

Gratis

Dove

OGR Cult

Come nasce una mostra - Tino Sehgal
Immagini inedite e video a cura del Direttore Artistico per raccontare le fasi che caratterizzano i momenti che precedono l’inaugurazione di una mostra.



Come nasce una mostra racconta attraverso parole, immagini e video, le fasi che caratterizzano i momenti che precedono l’inaugurazione di una mostra: dal concepimento all’allestimento, passando per l’arrivo delle opere.
Una rubrica dedicata alle attività che un’istituzione realizza nei momenti di chiusura al pubblico, in attesa degli opening.


Va in scena la terza puntata di Come nasce una mostra, il format che attraverso parole, immagini e video racconta tutto ciò che precede l'inaugurazione di un’esposizione. Il terzo episodio è dedicato all’ambizioso progetto di Tino Sehgal, a cura di Luca Cerizza, che ha inaugurato nel febbraio 2018, e che segue il racconto del “dietro le quinte” dedicato all’allestimento delle due opere permanenti Procession of reparationists di William Kentridge e Track di Arturo Herrera, e gli approfondimenti su Come Una Falena Alla Fiamma, la prima grande mostra organizzata dalle OGR e dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo,

La mostra Tino Sehgal, a cura di Luca Cerizza

L’artista Tino Sehgal, a dieci anni dalla sua ultima personale in Italia, nel 2018 ideò per le OGR Torino una complessa coreografia che vide la partecipazione di oltre sessanta interpreti.

Partendo da un allestimento che ha richiesto di riportare lo spazio alla sua forma più essenziale, passando per l’intricata coreografia - una sorta di medley di lavori precedenti dell’artista – per sette settimane all’interno del Binario 1 gli interpreti hanno dato vita a un unico grande movimento in continua mutazione.

Da quello che Sehgal definisce uno “sciame” di corpi, hanno avuto origine una serie di specifiche “situazioni”: le singole opere dell’artista – considerate come entità discrete che possono essere separate tra di loro e dal processo della loro produzione – sono quindi diventate scene o momenti, elementi temporanei, frutto di un gioco d’incontri in circostanze specifiche: il numero degli spettatori, il loro modo di interagire o il periodo del giorno in cui questi incontri sono avvenuti, hanno determinato ogni “situazione”.

Le otto ore di durata delle sessioni performative, sommate alla pratica stessa dell’artista che non produce niente che non sia già stato prodotto e non permette che ne rimanga traccia, ha reso necessarie strade nuove per divulgarne contenuto e valore, ma non solo.

 

Il dietro le quinte della mostra Tino Sehgal

Nicola Ricciardi Direttore Artistico delle OGR - Officine Grandi Riparazioni, racconta impressioni, fatiche, paure ma anche la soddisfazione di vedere la riuscita di un progetto così complesso:

Quella mostra si definì come qualcosa che mise in risalto anche quelle che erano le crepe dell'Istituzione ma, per dirla con Leonard Cohen, è poi attraverso le crepe che entra la luce, e di luce da quella mostra ne entrò tanta e quello che sono le OGR oggi lo si deve a un'operazione come quella e a un'opera bellissima come quella di Tino Sehgal”.

E ancora: “Era un progetto estremamente ambizioso, curato nei minimi dettagli da Luca Cerizza e reso possibile ancora una volta dall’intervento di singole persone. Penso ad esempio alla producer Cora Gianolli o a Valentina Lacinio che iniziava da noi ai tempi uno stage e che poi è rimasta, da quell’opera in poi, come parte integrante del team curatoriale delle OGR.

Ma si tratta soprattutto di una mostra che io ricordo come uno stress test per la nostra istituzione. È una mostra che infatti ha portato veramente al limite quella che poteva essere la nostra elasticità. In questo caso la vera sfida era riuscire a scegliere e contrattualizzare 60 interpreti: può sembrare una cosa semplice, ma penso che senza il lavoro incredibile che fecero ai tempi Raffaella Pavesio e Alice Spalatro, nel riuscire a stare dietro alle richieste di Tino, mie e del curatore, oggi non avremmo quella mostra.

La mostra si definì anche uno stress test, o almeno così è per me, quando ne parlo, perché mise subito a nudo alcuni limiti della nostra struttura. Ricordo ad esempio quando Tino chiese, per eseguire uno dei lavori “Elettric”, di poter spegnere a intermittenza le luci. Era la prima volta che ci trovavamo davanti a un problema così banale ma così di difficile realizzazione come quello di spegnere e accendere le luci. Infatti le OGR sono un sistema estremamente complesso non c’è una sorta di interruttore generale che si può a piacimento accendere e spegnere, o almeno non c’era ai tempi, poi ci siamo adeguati. Però proprio questi piccoli movimenti, queste piccole occasioni, questi piccoli incidenti di percorso, che poi sono stati ovviamente corretti prima dell’inaugurazione e che hanno portato a delle migliorie all’interno della struttura, sono quello che hanno fatto poi l’istituzione che OGR è oggi.

Ricordo anche come quel momento, quella grandissima sfida che ci trovammo davanti, aprì anche le porte a dei lampi di creatività. Una delle caratteristiche di Tino e della sua practice è quella di non produrre mai niente che non sia già stato prodotto. Questo per noi rappresentava in qualche modo un limite o anche volendo un problema, perché avevamo la massima intenzione di tenere traccia di quel progetto così significativo per noi. Non potendolo fare attraverso un catalogo ufficiale, appunto per il rifiuto da parte di Tino, ci inventammo di inserirci all’interno di una catena di produzione già in essere in modo tale da non produrre qualcosa di nuovo, ma in qualche modo dirottare un contenitore e riempirlo con il nostro contenuto.

Ci venne in mente di chiamare un supplemento a un quotidiano, quindi qualcosa che sarebbe stato comunque stampato e prodotto e chiedere alla redazione di dedicare l’intero numero alla mostra di Tino: una sorta di catalogo, che a quel punto sarebbe stato veicolato ancora maggiormente rispetto a una semplice distribuzione all’interno nei nostri spazi, perché l’avrebbero letto in tutta Italia”.

 

Anche alcuni degli interpreti ricordano e raccontano quei giorni:

Sara Fiorillo
“È dicembre 2017, sto bevendo un bicchiere di vino fuori dal Bar Pietro, in Via San Domenico, a Torino (città adottiva da vent’anni), mi avvicino a un tavolino per scuotere la sigaretta su un posacenere e incontro lo sguardo (mi folgora) di una donna: pochi minuti dopo sono seduta accanto a lei e le sto promettendo, tintinnando un brindisi, che la mattina dopo (just in time) mi sarei presentata alle OGR.
È il 18 marzo del 2018, ieri abbiamo rappresentato l’ultima ‘azione vivente’, e io mi accorgo (e in differita continuerò ad accorgermene nel mio quotidiano dei mesi a venire) di essere un’altra persona: ho bucato i confini tra arte e spettatore spalancando un varco tra me e l’Altro, ho sentito sulla pelle un nuovo modo di stare con lo spazio e con gli esseri umani, ho unificato forme precostituite e improvvisazione, ho sfidato l’imprevedibilità,  ho volato dentro uno sciame di corpi e ogni volta che mi sono allontanata è stato per colmare una distanza e (con coraggio e paura insieme) avvicinarmi a Qualcuno (e non dimentico nessuno).
È aprile 2020 e posso dire che una buona parte delle associazioni del mio (modo di stare al) mondo sono germogliate in quell’esperienza. Il dizionario inglese-italiano traduce association con ‘associazione’, ‘combinazione’, ‘società’, ‘congiunzione’. E il punto è proprio qui: questa è la ricerca di me individuo, e Tino Sehgal mi ha mostrato la strada.”

Roberto Padoan
“Mi chiamo Roberto "Bobo" Padoan, ho ormai superato i 60 anni.
Nell'inverno 2017 ho partecipato alla selezione per “These Associations”.
Nonostante la protesi alla caviglia, che mi affaticava molto nella parte fisica sono stato scelto.
Ricordo ancora la stranezza del provino, quando è arrivato il mio turno ho aperto la bocca e mi sono raccontato, senza nascondere nulla: è calato un silenzio totale e qualche lacrima appena velata ha colto alcuni dei presenti.
La mostra è stata un continuo susseguirsi di emozioni, fino all’ultima coreografia quando abbiamo concluso tra i visitatori e lo spazio è piombato nel buio.
Rialzarmi per uscire dalla sala quell'ultima volta, insieme ai miei compagni, come un'unica entità, è stato come sciogliere un abbraccio da un legame che durava da lungo tempo.
Ce ne siamo andati tutti con gli occhi gonfi di lacrime, lasciando lì una parte di noi.”

Judith Annoni
“Penso spesso alle lunghe giornate al Binario 1 come ad un ricordo onirico, dai contorni sfumati.
Siamo tanti, tutti in riga, lentamente avanziamo dal fondo della stanza, un’onda densa che riempie lo spazio nei suoi vuoti. Capita, camminando nel rito silenzioso, che improvvisamente un’attrazione magnetica ti conduca verso qualcuno del pubblico. Precisamente quella ragazza seduta in mezzo alla sala; incrocio lo sguardo e vado da lei, come rapita, senza sapere per quale ragione. Inizio il mio racconto, scelgo quello, ma non so perché. Mentre prende forma mi rendo conto che la mia storia è la sua storia, ci stiamo scoprendo sorelle, rallento, è un regalo. Non voglio abbandonare quella casa che ho trovato nel suo sguardo, ma la storia è finita. Mi alzo appena in tempo per raggiungere il gruppo che da poco mi ha superata, come un pettine attraversa le persone sedute qua e là, qualcuno si fa trasportare, altri assaporano il contatto restando al loro posto. Cambia il ritmo, e devo cambiare anche io. Quella storia è passata, ora è tempo di un’altra, un respiro e siamo di nuovo uniti, uno sciame che si agita, voci che si mescolano, mani, piedi, sguardi attenti. È cambiata la forma, sto al passo. Ecco che incrocio una schiena sconosciuta, e ancora è calamita. Mi devo fermare, abbandono il caos e inizia un altro incontro, un’altra storia, faccio tana. Questa volta è diverso, siamo due punti lontani e da lì ci scrutiamo curiosi. Poi, senza quasi sorprendermi, scopro uno sguardo di gratitudine. Ritorno al flusso.”

Patrizia Corte
“Mi chiamo Patrizia Corte, neuropsicomotricista. Ho lavorato nell'ambito della danza contemporanea e della ricerca sul movimento per qualche decennio. Sono approdata al casting su invito di un mio caro amico danzatore, certa che la mia esperienza con Tino Sehgal si sarebbe conclusa così. Invece è iniziata così, rivelandosi straordinaria, unica nel suo genere ed indimenticabile. Ricordo ancora il crescendo del canto che riempiva di significato il buio e la sensazione di essere fortunati a far parte di quell’insieme”
Prima e dopo

Officine del sapere

Appuntamenti di divulgazione scientifica e tecnologica sul tema dell'innovazione.

OGR CULT

Arte, musica, cultura, contaminazioni